Investimenti pubblici, non basta cambiare il codice degli appalti

Ricostruzione e ripresa fanno rima con investimenti. E negli investimenti resta centrale il ruolo delle Pubbliche Amministrazioni. Nell’ultimo semestre 2019 abbiamo registrato un aumento della spesa da destinare agli investimenti dell′11% rispetto allo stesso periodo del 2018 e questo fa ben sperare per il futuro. Peccato che la pandemia abbia prodotto una gelata che ora deve essere superata. C’è un fuoco che deve essere riacceso. Per quanto riguarda i Comuni la spesa per investimenti – dopo la forte contrazione del quinquennio 2010-2015: -39,4% per gli impegni e -28,3% nei pagamenti (2010-2017) – aveva dato timidi segnali di ripartenza. Nel 2017 anche per i Comuni c’è stata una ripresa dei bandi. Nel 2018 sono saliti anche gli impegni (+10% annuo).

Per il sistema dei Comuni è necessario riflettere sul futuro degli investimenti, tanto più in un periodo in cui – con molti annunci e ancora nessuna decisione – si fa un gran parlare di modifiche al sistema della burocrazia e degli appalti pubblici. La Fondazione Ifel ha dedicato uno dei suoi seguitissimi “Talk on web” proprio al tema: “Investimenti per la ripresa: spendere di più e meglio. Si può?”.

“IFEL segue il tema degli investimenti ormai da tanti anni e dopo la tendenza 2010-2015, che ha visto un calo di risorse sul tema del circa il 40 per cento, la ripresa c’era ed era evidente. Poi il Covid ha interrotto questo processo come altri processi di crescita del Paese. Però nell’ultimo semestre 2019 abbiamo registrato un aumento della spesa da destinare agli investimenti dell′11 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018 e questo fa ben sperare per il futuro”. Con queste parole il direttore di Ifel, Pierciro Galeone, aveva introdotto il tema.

Nel 2011 è cominciata una stagione, durata fino al 2017, in cui le regole del patto di stabilità e della finanza armonizzata premiavano chi non investiva. Gli strascichi e le tossine di questa impostazione sono ancora presenti. Ora le cose vanno meglio ma bisogna puntare sui Comuni e sulla loro autonomia, abbandonando le tentazioni centraliste affermatesi – senza soluzione di continuità – dal governo Monti in poi. Questo approccio centralista non ha stimolato al meglio le capacità tecniche dei territori, che restano fondamentali per attivare spesa efficace. Il superamento del patto di stabilità ha reso i territori serventi a principi che non li hanno responsabilizzati.

Poi c’è la questione legata alla normativa. Tutto il diritto amministrativo, complessivamente, ha perso qualità. I nostri Rup (responsabile unico del procedimento) devono ogni giorno deambulare tra una selva di norme che non sempre sono scritte in maniera univoca. E questa fragilità del sedimento amministrativo è un evidente freno per chi, pubblico o privato, vuole mettere risorse per investire.

Ma alla fine, a che cosa si può imputare questo lento ritorno degli investimenti pubblici, soprattutto a livello locale? La risposta più diffusa dice che la colpa è del codice degli appalti. C’è del vero in questa affermazione, ma si rischia di essere superficiali. C’è dell’altro. Almeno quattro questioni: la riduzione del personale qualificato; il numero di inchieste giudiziarie avviate; la frequenza con cui si fa ricorso ai Tar; l’andamento ciclico delle risorse.

Tra il 2015 e il 2018 le unità di personale comunale sono diminuite del 5,1% ma nel settore territorio, urbanistica, lavori pubblici, contratti, il calo è stato quasi del doppio (-9,25%) (fonte Ifel). La stragrande maggioranza delle inchieste per reati contro la pubblica amministrazione ha riguardato interventi urbanistici, lavori pubblici, progetti di partenariato pubblico privato. Una quantità elevata di opere pubbliche è ferma davanti ai tribunali amministrativi. L’andamento ciclico delle risorse non consente di spendere risorse dove servono (fenomeno tutto italiano dei bandi).

Anche per questo – nonostante la tardiva insistenza di questi giorni – forse è meno utile cambiare di nuovo le regole del codice. I Comuni hanno imparato a usarlo; con fatica. Potrebbe essere dannoso fermare l’abbrivio: rischieremmo una frenata e non una accelerazione della spesa. È invece utile fare delle correzioni mirate di norme che sono diventate colli di bottiglia (Anci ed Ance hanno un elenco utile).

Bisogna poi eliminare gli incentivi a ricorrere davanti ai giudici, introducendo un indennizzo in favore del ricorrente vincitore in luogo della sospensiva o dell’annullamento della gara. Sarebbe utile rafforzare la dotazione di personale dei comuni (con particolare riferimento agli uffici addetti alle gare) e la costituzione di centri di competenza territoriale (team di esperti) che diano supporto tecnico alle amministrazioni locali.

E poi sì, intervenire sulla burocrazia, ricucendo quella burocrazia passiva attraverso la standardizzazione delle procedure e la tipizzazione delle condotte che fanno scattare la colpa grave. Ma soprattutto puntare sull’autonomia: mettere risorse finanziarie senza vincoli di destinazione perché i sindaci conoscono quali sono i bisogni dei territori e cercare di integrare e condividere la programmazione degli investimenti del centro con quelle territoriali per evitare sovrapposizioni e dispersioni di risorse.

da huffingtonpost.it

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