Lo sviluppo sostenibile parte dalle città (bene amministrate)

Una decina di anni fa, si cominciava a parlare del principio delle 3 R: Reduce, Reuse, Recycle. Il principio declinava le indicazioni formulate dai ministri dell’ambiente del G8 nella conferenza tenutasi a Kobe nel maggio del 2008.

Il tema della sostenibilità ambientale – con il suo contorno di raccomandazioni prescrittive intonate al mainstream del politicamente corretto – è stato “rinnovato” l’anno scorso, quando a Stoccolma una giovane svedese destinata a diventare famosa in tutto il mondo, rifiutò di continuare a frequentare le lezioni del suo nono anno di scuola per protestare nei confronti delle eccessive emissioni di anidride carbonica prodotte dal suo come dagli altri Paesi occidentali. Il nome dell’attivista profetica, è Greta Thunberg.

Ma oggi, qulasiasi sia la loro età, abbiamo bisogno di predicatori? La sostenibilità sociale e ambientale, così come il tema dell’economia circolare, è uno dei sacrosanti mantra ripetuti (da) sempre, soprattutto quando si parla di città. Di grandi città o di città metropolitane. Regolarmente siamo invitati ad analisi di coscienza cui conseguono puntuali slanci ambientalisti, eppure, come ha scritto Stefano Balassone, restiamo quotidianamente travolti da un mare di dubbi.

La retorica moralistica infatti non funziona più. Indipendentemente dal suo praticante. In tempi digitali, nessuno si fida più di nessuno, almeno quanto tutti pensano di poter dire tutto.

Il vantaggio e la convenienza sono diventati la misura civica di tutte le cose. Anche e forse soprattutto per quel che riguarda i temi della sostenibilità sociale e ambientale. E certamente per quel che riguarda i luoghi in cui la socialità si manifesta e si consuma, cioè nelle città.
E la città può diventare volano di politiche solo se alla città verrà riconosciuto un ruolo credibile di luogo in cui i problemi vengono risolti, non moltiplicati.

Ne ho scritto sull’Huffington Post.

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