Terremoto, la protesta a Roma dopo tre anni di inerzia

Tre anni dal sisma del Centro Italia, tre anni di attesa. Tre diversi governi, tre commissari che si sono succeduti. Trascorsi tre anni, durante i quali poco o pochissimo è stato fatto, diventa doveroso trovare modi per ricordare, per non far dimenticare.

Un migliaio di partecipanti provenienti da quattro diverse regioni si sono riuniti ieri a Roma. “Un pezzo d’Italia è fermo, soffre e vuole fatti. C’è un decreto sblocca cantieri, la politica lo riempia di contenuti per far ripartire subito la ricostruzione edilizia ed economica”. La protesta del raggruppamento dei Comitati terremoto Centro Italia, ha riempito piazza Montecitorio a Roma, e ha rilanciato un allarme che dura da troppo tempo: “Siamo al 10% di pratiche cantierabili su quattromila presentate e su 60mila da presentare: il sistema non permette né la progettazione né l’evasione delle pratiche”.
La mobilitazione pacifica ha affrontato la pioggia e il vento che si sono abbattuti sulla capitale per manifestare la volontà di rinascita del nostro territorio, per rivendicare il dovere di non ignorare né dimenticare il nostro pezzo di terra. Durante questi anni la macchina amministrativa è rimasta impassibile, immobile, incapace di definire priorità, di elaborare soluzioni, di fornire strumenti normativi e operativi opportuni.

E l’inevitabile conseguenza, a tre anni dal terremoto, è la crescita dell’abbandono e la diminuzione della manutenzione del territorio, dell’Appennino, spina dorsale d’Italia che rischia di diventarne solo lo scheletro, sempre meno vitale.
Il terremoto del 2016 ha colpito le radici del nostro Paese, quelle radici profonde che sono i territori dell’Appennino. Senza ridare vita alle radici c’è solo un destino che non evolve, una vita che non cresce, un futuro che non ha futuro.

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