Il dissesto finanziario riguarda i Comuni che non sono più in grado di garantire lo svolgimento dei servizi indispensabili o non riescono più a far fronte a debiti. La dichiarazione di dissesto fa decadere gli organi politici in favore del commissariamento e, per salvaguardare gli investimenti già compiuti, le aliquote dei tributi e le tariffe dei servizi sono l’innalzate al livello massimo previsto dalla legge.
Sono un centinaio i Comuni italiani in dissesto. E più del doppio sono quelli in condizioni di predissesto, cioè alle prese con piani di riequilibrio.
L’interesse per l’argomento si è riacceso da quando si è parlato di un decreto “salva-Roma” (per ora stralciato dal “Decreto crescita” del Governo) che dovrebbe trasferire allo Stato parte del debito accumulato dal Comune di Roma.
Prevedibile e inevitabile la polemica politica. Ma quello che serve forse non è né un salva-Roma, né un salva-tutti. Quello che lascia perplessi nella discussione è la persistente mancanza di “visione integrata” organica, d’insieme, del ruolo dei Comuni nel nostro Paese che è proprio quello di cui hanno assoluto bisogno gli amministratori locali.
Occorre una normativa organica, che non insegua solo il tamponamento di casi più meno gravi – che salvi Sindaci ma non i conti – ma un nuovo disegno dei meccanismi di controllo.
Occorre una riforma del Testo unico degli Enti locali (Tuel), occorre una riforma della finanza locale che dia certezza delle risorse effettivamente disponibili per le città e per le comunità dei cittadini.
Ne ho scritto sull‘Huffington Post e parlato su Zapping, su Radio Uno.