A Tagadà (La7) per parlare di una piccola flat tax

Ieri son stato ospite con l’economista Antonio Maria Rinaldi e il tributarista Gianluca Timpone di Tagadà, la trasmissione di La7 condotta da Alessio Orsingher; tema del confronto, la flat tax e un po’ di ragionamento sulla tassazione locale.

La manovra del governo prevede infatti sì la flat tax, come richiesto dal
programma di centro destra ma l’attuale proposta si rivolge solamente a una parte dei lavoratori autonomi, ovvero a quanti possiedono una partita IVA e optano per il regime forfetario. Parliamo di circa 600mila lavoratori, circa l’1% dei contribuenti IRPEF.
Un piccolo inizio di quello che era il cardine del programma economico del programma elettorale del centro destra: come ho detto in trasmissione, mi auguro che la “scappatella” di Salvini con i 5Stelle finisca presto per poter estendere la flat tax per tutti.
La manovra attuale si limita a prevedere la tassazione al 15% per le partite Iva fino a 65mila euro e al 20% per quelle fino a 100mila euro (nel 2020); si tratta in qualche modo dell‘estensione del regime dei minimi e definisce e non una, ma (per ora) due aliquote. E qui il nodo della questione: il principio della flat tax sta che tutti i cittadini paghino di meno, secondo un principio di equità fiscale.

Possiamo quindi parlare di un piccolo traguardo raggiunto, certamente non di una vittoria: l’attuale tassazione, infatti, si fa forte – ingiustamente – di quanti non possono eludere o evadere il Fisco. Parliamo di pensionati, dipendenti, proprietari di immobili, succubi dello Stato e delle sue pretese, che inseguono le basi imponibili certe, trascurando quelle per le quali serve un accertamento più difficile.

E’ un atteggiamento che lo Stato – inseguire il certo, piuttosto che il giusto – ripropone spesso. Anche a Tagadà ho ripetuto, a proposito di tassazione locale, che il risanamento dei conti pubblici è stato fatto a spese degli enti locali e delle comunità territoriali. A ciò si aggiunga il blocco del turn over nei Comuni, con l’effetto di avere funzioni centrali presidiate da dipendenti “invecchiati” e demotivati. E il blocco delle aliquote (che ha danneggiato soprattutto le amministrazioni virtuose, cioè quelle che non avevano ancora applicato i massimali), l’esplosione della pressione fiscale tramite l’IMU (che solo per la metà viene trattenuta dall’ente locale, trasformato in un esattore per conto dello Stato) tanto e troppo spesso non pagata, specialmente nel sud Italia.

Bisogna ricordare che i Comuni possono e devono essere fattore di sviluppo e crescita e che il ripristino di un rapporto di reciproca fiducia fra Stato centrale e “periferie” è la sola chiave per la ripartenza economica. Ci vuole un nuovo patto tra cittadini e Istituzioni e tra Istituzioni centrali e Istituzioni territoriali.

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