Polizze anti-sisma: lo Stato espropria i Comuni

Non sono molti i sindaci che hanno avuto la lungimiranza di assicurare il patrimonio edilizio comunale contro i danni del terremoto. Ma quei pochi oggi, invece di potersi vantare della loro scelta virtuosa, saranno impegnati a mangiarsi le mani. Pochi giorni prima di Natale, con scarsissima eco mediatica, il Commissario straordinario per la ricostruzione, Paola De Micheli, che nei mesi scorsi aveva preso il posto di Vasco Errani, ha emesso un’ordinanza (ne ho parlato a Radio 24 lo scorso 9 gennaio) con la quale dispone la decurtazione dei finanziamenti disposti dallo Stato per le opere di ripristino e restauro degli edifici pubblici lesionati dal sisma, in proporzione agli indennizzi assicurativi disposti dalle singole amministrazioni. Insomma: lo Stato pagherà solo la differenza tra le somme riconosciute per i lavori e quanto sarà riconosciuto da polizze contratte autonomamente dal singolo ente.

Io lo chiamo esproprio. Il Comune di Ascoli non è l’unico – ci sono una trentina di piccoli e medi municipi (lo ha scritto “Il Giornale” del 9 gennaio) che hanno contratto polizze assicurative contro danni catastrofali, terremoto incluso – ma probabilmente è il più grande, tra quelli che hanno fatto una scelta preveggente e diligente. Nel 2009, appena eletto sindaco, mi trovai a dover mettere a bilancio 3 milioni di euro per i danni provocati dal sisma dell’Aquila in alcuni edifici pubblici di proprietà comunale. Mi sembrò opportuno cercare una compagnia di assicurazione che si assumesse l’onere di fare una polizza contro i danni derivanti da eventi catastrofali. Non fu facile la ricerca. Non sono molte le compagnie pronte ad assumersi questo tipo di rischio. Facemmo la gara. E trovammo un “fornitore”. Stipulammo un premio di circa 120mila euro all’anno. Oggi ho potuto mettere a bilancio la somma riscossa di 5,7 milioni. E il commissario me la toglie, senza nemmeno immaginare di ristorare la spesa dei premi annuali sostenuti; poco più di un milione in nove anni. Una beffa. Un vero e proprio esproprio.
Da un lato si rimprovera ai pubblici amministratori di non cercare sempre le soluzioni migliori per proteggere il bene pubblico. Quando si trovano scelte coraggiose e sagaci dinnanzi a problemi difficili – anche tra i privati cittadini sono ancora pochi coloro che assicurano gli immobili di proprietà contro i danni da terremoto, pur essendo in zona sismica i tre quarti del Paese – ecco che scatta il riflesso statalista e centralista. Quante volte si è sentito sussurrare la necessità di definire polizze assicurative centralizzate, vista la fragilità sismica e idrogeologica dell’Italia, ma nulla è diventato realtà. Nessun obbligo è stato mai introdotto.
E’ paradossale che lo Stato che non paga le polizze, poi decida di defalcare i propri finanziamenti dalle somme derivanti da contratti di diritto privato; senza nemmeno immaginare almeno di rifondere le Amministrazioni sagaci per il premio pagato.
Io andavo fiero di questa mia solerzia ora sono senza parole. A essere puniti siamo noi sindaci più scrupolosi. Scrupolo che deriva anche dal fatto che sappiamo per esperienza che molti edifici pubblici non saranno mai ripristinati con i soldi dello Stato. I soldi per le scuole ci saranno, ma non si sa quando. Ma faccio l’esempio dello stadio, escluso dalle opere pubbliche indennizzabili dal finanziamento statale, ma pur sempre un bene del demanio comunale. Solo lì so che ci sono danni per circa 5 milioni di euro.
Qualche anno fa andava di moda immaginare i Municipi gestiti con spirito manageriale, con cultura quasi aziendale; oggi sarebbe pericoloso favorire una nuova deriva burocratizzata, che colpisce chi si avventura nella collaborazione pubblico-privato e chi invece non si è ancora reso conto che le risorse pubbliche non sono le uniche cui si può attingere per assicurare un adeguato servizio di pubblico interesse.

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