Dopo-terremoto: correggere il tiro? Da un anno fuori bersaglio

Ma quante volte dobbiamo “aggiustare il tiro” per fare centro nelle azioni di ricostruzione dopo il terremoto? Sabato scorso a Treia, provincia di Macerata, la domanda è risuonata più volte. La Fondazione Symbola, animata da Ermete Realacci, ha avuto il merito di raccogliere amministratori locali, parlamentari, studiosi di economia e del territorio nelle ore che precedono l’approvazione della legge di Bilancio, che dovrà contenere un “aggiustamento del tiro” sugli interventi del dopo-terremoto del 2016-2017.

Il fatto che il terremoto continui, dopo la scossa di domenica notte, non può essere un alibi per “correggere il tiro”. Come ha ricordato il collega sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi: “Non c’è più niente da distruggere”. C’è solo da iniziare a ricostruire, col passo giusto e senza ulteriori ritardi.

Il collega sindaco di Treia, Franco Capponi lo ha detto chiaro: “Abbiamo una seria convinzione che la ricostruzione del Centro Italia sia partita con il piede sbagliato”. Sottoscrivo. Si è creato un eccesso di normazione: due decreti legge nel 2016, quattro decreti legge nel 2017, oltre alle due leggi di Bilancio, agli interventi del Commissario straordinario, e a quelli delle quattro Regioni interessate. Quando si legifera troppo non è mai un buon segno. E se si deve aggiustare il tiro troppo spesso, vuol dire che il centro del bersaglio non è stato colto, o è stato colto male fin dall’inizio.

All’eccessiva proliferazione delle norme si è aggiunto un processo di centralizzazione degli interventi da parte delle Regioni. Nelle Marche – territorio particolarmente colpito con una Regione particolarmente inefficiente – questo ha pesato molto e sempre in senso negativo.

Il presidente della mia Regione, Luca Ceriscioli, credo abbia perso molte occasioni, da un lato di decidere, dall’altro di coinvolgere davvero le comunità locali. Abituato al centralismo democratico della sua formazione politica ha applicato, al terremoto, il sistema del centralismo burocratico. Alle assemblee con i sindaci – convocate senza alcuna informazione preventiva – arriva carico di slide su cui chiede la “fiducia” dei primi cittadini. Ai vari tavoli con organizzazioni e stakeholders applica rigorosamente il principio della bilateralità: i rappresentanti regionali con i singoli portatori di interesse.

Tutto in verticale e mai insieme agli altri. Le Marche, al contrario, rappresentano storicamente una realtà policentrica, se non si condividono responsabilità e risorse con le comunità locali è difficile fare qualunque cosa.

Si è fatto un gran negoziare o un gran decidere a Roma, quando invece c’era bisogno di grandi decisioni e di sussidiarietà. Decisioni a livello regionale, e responsabilità a cooperare nel territorio. Ma con la consapevolezza che il territorio ha bisogno di risorse da gestire e di semplicità di norme da applicare. Molti hanno ripensato in questi mesi a quanto era accaduto con il terremoto del 1997. Beh, diciamo che l’esperienza della ricostruzione è stata, allora, molto migliore, più efficiente, più solerte. Il modello usato vent’anni fa è stato proprio il contrario di quello che si vede oggi.

Ma c’è un’altra differenza con il sisma del 1997. L’emergenza di allora scattò su un territorio più solido, dal punto di vista economico e amministrativo. I Comuni coinvolti non venivano da anni di progressivo depauperamento di risorse finanziarie e umane. Il terremoto del Centro Italia del 2016-2017 è stata la prima grande emergenza nazionale dopo la grande crisi economico-finanziaria esplosa nel 2007-2008. Ed è inutile negare che le Amministrazioni pubbliche più colpite –per scelta dei governi Monti-Letta-Renzi – nella grande crisi della finanza pubblica siano stati i Comuni.

I Comuni sono arrivati esausti alla prova della tragedia sismica. Come in un elettrocardiogramma sotto sforzo, le Amministrazioni locali sono arrivate all’emergenza in pieno affanno. E dopo un anno e mezzo quasi dalle prime scosse di agosto 2016 ancora ci si viene a dire che occorre “correggere il tiro”? La gente dell’Appennino, colpita così duramente, ha dimostrato e sta dimostrando una compostezza e una dignità che solo chi ha sofferto può riconoscere. Ma i governi, di Roma come di Ancona, lasciatemelo dire, non sono stati all’altezza di questa dignità e responsabilità.

Bisogna fare di più e più in fretta. Ormai non sarà mai più “troppo in fretta”. Molto tempo è stato sprecato, dall’assegnazione delle case al loro allestimento, dalla rimozione delle macerie ai progetti concreti di sostegno all’economia e di effettiva rinascita del tessuto produttivo. Le prossime elezioni non sono l’occasione per fare speculazione politica, ma devono essere l’ultima occasione per rimediare i tanti errori fatti. A forza di correggere il tiro, bisogna riuscire a colpire il centro del bersaglio!

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